I giorni dell’integrazione

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immagine presa dal sito web enandis.com, “I CUBOTTI” ( un bellissimo gioco per bambini).

I giorni dell’integrazione hanno il colore, azzurro pastello, del cappello di quella mamma che incontro al kindergarten ogni mattina: è giovanissima, gli occhi enormi, nocciola intenso: si offre di riportarmi A. a casa e srotola un ponte saldo, ancorato ai nostri sorrisi. Hanno il colore azzurro pastello degli occhi di Mel, la ragazza che abita due case più avanti, i nostri figli nella stessa scuola. Scalpita Mel, in questa dimensione bucolico provinciale, lei, che viene da Stoccarda e il mondo aveva tutta un’altra velocità. Ci fa vicine la novità del trovarci qui, abbiamo passato qualche pomeriggio insieme: Mel se ne frega che io la capisca o meno, lei parla, a lei basta parlare. Però Mel è divertente, le sfuggono dei risolini concitati,così, nel bel mezzo di una frase, sventola curiosa le sue ciglia cariche di mascara quando mi sente parlare. S’interessa distrattamente, che in  fondo lei vuole solo spezzare la noia di un pomeriggio come tanti mentre io le cucio addosso una storia che stia bene con quel che capisco.

I giorni dell’integrazione hanno il sapore di una grigliata in giardino: due panche unite in mezzo al prato, i fazzoletti colorati, i bambini sparpagliati e le risate fresche. Siamo italiani, francesi, portoghesi, tedeschi, siamo vicini per caso,  per caso calpestiamo lo stesso fazzoletto verde di mondo. Hanno il sapore dei biscotti alla cannella, mangiati insieme ai bambini biondi del collega di mio marito, in mezzo alla neve fresca. Hanno il profumo di sua moglie che mi ha sorpresa, abbracciandomi forte, polverizzando quella distanza cortese che ho imparato ad usare, lasciandomi avvolta da un calore buono.

I giorni dell’integrazione hanno la forma piena dei boschi grandi, l’odore umido di foglie marce, hanno il suono ritmato dell’acqua che gocciola, mille melodie di mille pioggie diverse. Sono grevi come le nuvole basse, sono piume leggere lasciate soffiare dal vento. Hanno la commozione di certi cieli intensi e nitidi che si buttano a piombo dentro a mari di grano dorato.

I giorni dell’integrazione si annidano dentro ai boccoli candidi della signora curva e tremante che non riesce a spalare la neve dal suo pezzo di marciapiede; li vedo dentro alle sue mani, li sento dentro a quella morbidezza che si increspa quando stringe le mie per ringraziarmi. Hanno le sopracglia corrucciate della mia vicina turca quando ha fame nei giorni del ramadan, di quell’insalata strana, che sa di limone, che lei coltiva nel suo orticello e che d’ estate assaporiamo insieme, sedute sull’asfalto caldo della stradina, mentre i nostri bambini giocano a bagnarsi, a rincorrersi scalzi.

I giorni dell’integrazione, viaggiano insieme alle lanterne e una miriade di voci piccole che, insieme, cantano una canzone grande, fatta di parole nuove. Stanno in quel contatto inusuale di cappotti pesanti, stanno dentro alla commozione sorpresa nel tuo vicino di manica, il naso che s’arriccia e rivela quel sorriso annacquato nascosto da un giro di sciarpa. Hanno la forma di un cerchio che s’allarga, di quel varco che si apre a offrirmi un posto, quando sono solo madre tra le madri, e le parole schiariscono.

I giorni dell’integrazione insegnano a scoprire, ti spingono a esplorare, ti fanno uscire fuori a cercare. Sono rimasti seduti sulle sedie dell’aula del corso, in quelle serate di vite lontane, portate vicino.

I giorni dell’integrazione mi hanno insegnato che si può parlare meno, ma si può  farlo attentamente, scegliendo le parole con cura, affidando loro la speranza di veicolare un pensiero, di portarlo a destinazione, che stabilisca il legame.

I giorni dell’integrazione li decidi tu, non li decidono gli altri: li scegli quando esci al mattino e ti guardi intorno, quando riesci a buttarti un po’ più in là di quello che hai dentro.

 

 

 

 

 

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